IL MONDO DI OGGI
Nel cuore degli altri
Quando arte, musica, letteratura e cinema aiutano a raccontare la medicina
Quello del cuore è un suono semplice e necessario. Lo sa Gabriele Bronzetti, che ha visto suo padre morire di scompenso cardiaco, e forse anche per questo ha deciso di diventare un cardiologo. E lo sanno i genitori di Francesco, quando lo sentono per la prima volta, e insieme a una gioia infinita provano anche il terrore più profondo nell’apprendere che la parte sinistra del cuore di loro figlio, quella che per tutta la vita dovrà reggere la maggior parte del mestiere di battere, è di fatto inesistente. Il cuore è l’organo muscolare, vascolare e nervoso più complesso che abbiamo. Racchiude forze primordiali così sofisticate che qualcosa si può inceppare per una sola lettera sbagliata nell’intera biblioteca di dna chiusa dentro il nucleo cellulare. Un cardiologo, d’altra parte, è come un orologiaio. Per quanto conosca quelle quattro stanze battenti, non potrà mai entrare nel tempo. Smonta e rimonta i meccanismi come un bambino, fino a quando prova a chiedere aiuto…
È così che Gabriele Bronzetti si è rivolto alla letteratura, alla musica, all’arte, al cinema – potentissimi strumenti di narrazione capaci di trasfigurare la realtà, di illuminarla con un senso più completo, di renderla meno difficile da sopportare – per instaurare innanzitutto un dialogo empatico e simbolico con i suoi pazienti, per guidarli attraverso un percorso allegorico che più facilmente potesse aiutarli a sublimare il dolore, e poi per raccontare a noi la sua professione e i casi clinici che più lo hanno toccato da vicino nel corso della sua lunga carriera. Di fronte a un ecocardiogramma, in un ambulatorio, o in sala operatoria, tra cortocircuiti e parallelismi in cui la vita si specchia continuamente nell’arte, Gabriele Bronzetti mette in scena uno spettacolo che parla a tutti, perché tutti prima o poi dovremo fare i conti con il nostro cuore. Scopriremo, così, come funziona e si ammala questo muscolo favoloso e soprattutto perché, nonostante i disinganni della scienza, il cuore sia ancora da considerare la sede abusiva dell’anima.
Il cuore è un barista che shakera e versa sangue come un pazzo. Il cervello è il suo cliente più impaziente, uno che se ne va dopo pochi minuti se non viene servito con la gittata sistolica da cento millilitri di un Martini o di un Bloody Mary, in un calice o in un tumbler medio. Settanta volte al minuto, ventiquattro ore al giorno, trecentosessantacinque giorni all’anno, una vita. Miliardi di bicchieri. Il cuore è un bartender di Manhattan che non dorme mai.